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Sito non ufficiale dell'apparizione della Vergine della Rivelazione alla grotta delle Tre Fontane a Roma

LA PRIMA APPARIZIONE

Il giornalista Renzo Allegri nel suo ser­vizio per il settimanale « Gente » del 6 giugno 1980, dal titolo La storia delle ap­parizioni alle Tre Fontane, a p. 145 scri­veva:

- La ragione (del vivo interesse, dimo­strato dal Papa Pio XII, alla notizia del­l'apparizione della Madonna a Bruno Cor­nacchiola e dell'immediato favore dimostra­togli) mi è stata rivelata da una persona di cui non posso fare il nome, ma che per gli incarichi che ricopre nella Chiesa è auto­revolissima.

(Conosco questo Monsignore ed ho avu­to ora piena conferma di quanto riferisce l'Allegri: il card. Pacelli, nel 1937, ricevet­te la comunicazione della veggente e attese la realizzazione di quanto preannunziatogli). - « Quello che le racconto », mi ha detto questa persona « è estremamente in­teressante. Un giorno sarà reso pubblico perché è perfettamente documentato. (L'in­tera documentazione è presso il supremo dicastero del Santo Offizio).

«Nel 1937, cioè dieci anni prima dei fatti riguardanti Bruno Cornacchiola, alle Tre Fontane la Madonna apparve a una giovane che aveva straordinari doni cari­smatici. Tra le altre cose le disse: - Tra dieci anni apparirò di nuovo in questo luogo (la Grotta) a un miscredente nemico della Chiesa e del Papa... -

Quella giovane, assai nota negli ambienti cattolici romani, riferì quello che aveva vi­sto ed udito al Cardinale Pacelli, allora Se­gretario di Stato, che la conosceva bene.

Quando nel 1947 si verificarono le ap­parizioni a Bruno Cornacchiola, Papa Pa­celli vide realizzarsi quanto gli era stato detto dieci anni prima.

« Ecco perché mostrò subito interesse verso le apparizioni alle Tre Fontane e ri­cevette in udienza Bruno Cornacchiola ».

Il nome della giovane è Luigina Sinapi. Nata a Itri (Latina), l'8 sett. 1916, visse gran parte della sua vita a Roma, dove mo­rì il 17 aprile 1978.

Il Signore, ancora fanciulla, la illuminò e purificò con una prova dura e sofferta: la perdita della mamma; la rapida deca­denza dalla sua felice condizione di bene­stante; la sospensione degli studi liceali per provvedere, con prestazioni di servizio, al­la cura dei fratellini, la sua vocazione di suora tra le Figlie di san Paolo, troncata sull'avvio per una salute cagionevole che l'accompagnerà tutta l'esistenza; il ritorno a una vita in mezzo alla gente; vita fatta di lavoro, di silenzio, di solitudine, di pre­ghiera, di sofferenza e di tanta carità.

Un'esistenza tutta spesa a disposizione della Madonna: « soffrire e offrire » fu in­fatti il suo motto; e raggiunse così altissi­mi livelli mistici.

L'Osservatore Romano del 5 giugno 1981 riportava in gran parte la commemo­razione della Sinapi, nel terzo anniversario della sua morte, fatta nella grande Cap­pella delle Maestre Pie Filippini in via del­le Botteghe Oscure, tutta gremita di folla commossa, dal Vice-presidente della Came­ra dei Deputati, oggi Ministro dell'In­terno, On. Avv. Oscar Luigi Scalfaro, do­po l'omelia del celebrante, il Vescovo au­siliare di Roma, Mons. Remigio Ragonesi.

- Di « Gina », l'On. Scalfaro richiama per prima la voce e, in quella voce alcune parole:

- Dopo l'incontro con la Mamma (così tanto teneramente ella chiamava la Madon­na), che opaca, che brutta, che buia, che squallida la realtà di quaggiù... che divario, che contrasto.

« I suoi occhi, il giorno dopo questi in­contri di Cielo, avevano luci di Cielo.

« E queste visite del Cielo la lasciavano nella gioia fresca e viva a volte, a volte come colpita dalla sofferenza per giorni, nella of­ferta dolorosa della Croce.

« Né l'indagine più approfondita, né gli scritti più veri potranno svelare se non una piccola parte del misterioso rapporto della sua anima con Dio.

« Nulla in lei sapeva di straordinario; le esperienze spirituali e mistiche più misterio­se la lasciavano semplice, umile; umiltà, quindi, in grado sommo. Perfino nel suo nome: - Sinapi - traeva ispirazione e in­dicazione di essere piccolissima cosa, il pic­colo granello di senape dell'Evangelo.

« Gina non ebbe mai il tono della ecce­zionalità, mai in lei una espressione di estra­neità da tutto ciò che è naturale, normale, umano: sta qui la sua eccezionalità più viva e affascinante. (O anche il segno più sicuro della sua santità).

« ... Il suo amore, pagato spesso con deso­lante incomprensione: quante prove, quante giornate buie, quante sofferenze fisiche e spirituali per Gina! Ne rimaneva sommersa e come affogata, ma egualmente immersa nell'amore infinito di Dio.

« I suoi messaggi erano annunzi di per­dono, di misericordia, di pace, di redenzio­ne: mai annunzi di castighi, minacce di ro­vine, di tragedie. Soleva dire: - Ci sono veggenti che portano, che riferiscono annun­zi terribili: a me la Mamma Maria parla sempre di misericordia e di perdono, pro­mette protezione e aiuto a risorgere -.

« Nella sua vera essenza, la sua vita era nascosta in Dio. Amò la Chiesa e il Papa di amore tenerissimo; amò i sacerdoti e per essi fu larga nell'offerta: senza misura. I suoi rapporti con Pio XII e con Paolo VI rimangono segno vivo di questo amore e di questa offerta... La presenza di Gesù Eu­carestia nella sua casa era stato dono perso­nale di Papa Pacelli.

« La cappella che ospitava Gesù era l'espressione più viva di lei, del suo gusto, della sua delicatezza.

... « Ma originalissima, ricchissima, affet­tuosissima, persino inarrivabile, fu nell'amo­re alla 'Mamma'. Il suo messaggio maggiore, la sua lezione che non finisce, fu l'amore alla 'Mamma'. Amò Maria come una figlia che non conosce misura... a Lei non negò mai nulla, a Lei l'ubbidienza fu atto d'amo­re senza paura. E insegnò a tutti l'amore verso questa incantevole Mamma ».

Di Gina Sinapi, parlò Papa Pio XII nel Radiomessaggio per la « Giornata degli am­malati » nell'anno mariano.

- Ma non sempre è così, diletti figli; non sempre vi sono anime ribelli, anime che imprecano sotto la pressione della sofferenza. Vi sono, grazie a Dio, anime rassegnate alla divina volontà; vi sono anime serene, ani­me liete; anime, perfino, che hanno positi­vamente cercato la sofferenza. Di una, in particolare, Noi udimmo un giorno la sto­ria nel radioso Anno Santo, quando i Nostri figli accorrevano straordinariamente numero­si a Noi, da ogni parte del mondo.

« Era una giovane di venti anni, modesta di origine, a cui il Signore aveva donato tanta freschezza e insieme tanto candore. Tutti ne sentivano il fascino, perché ella spargeva intorno a sé il profumo di una vita incontaminata. Ma un giorno ella temette di poter divenire occasione di peccato, e avendone avuta quasi un'interiore certezza, andò a ricevere Gesù e in un impeto di ge­nerosità gli chiese di toglierle ogni bellezza e perfino la salute. Dio l'esaudì, accettando l'offerta di quella vita per la salvezza delle anime. Noi sappiamo che vive ancora, anche se arde e si consuma come lampada viva davanti al trono della giustizia e dell'amore di Dio. Ella non impreca, non mormora. Non chiede a Dio: « Perché? ». Ha sempre il sorriso sul volto, mentre conserva perenne nell'anima la calma e la gioia. Bisognerebbe chiedere a lei perché accetta di soffrire, per­ché ne gode, perché ha cercato i patimenti. E come a lei, bisognerebbe chiederlo a mi­gliaia di anime, che si offrono a Dio in si­lenzioso olocausto (p. 580) ».

Nelle sue cinque parole; - Tu ama, ado­ra, glorifica, offri e taci - che costituiscono cinque punti fermi del trattato della sapienza della croce, si riassume l'esperienza di Luigina Sinapi, che testimonia ancora una volta, come qualunque carisma e ogni vocazione raggiunga la sua pienezza solo se vissuti nel­la prospettiva della morte e della risurre­zione di Gesù, in intima comunione di vita con Maria, madre di Gesù e della Chiesa.

Cosa spingeva alle Tre Fontane Gina Sinapi in quella giornata - che rimarrà co­sì viva nel suo ricordo - del 1937?

Forse una delle tante e frequenti ispira­zioni della Santissima Vergine, mossa dalla voce del sangue dei martiri, in particolare di quello dell'Apostolo delle Genti, mos­sa - causa più immediata - dalle preci dei monaci Trappisti, suoi devoti, che ogni sera le rivolgono l'umile, caloroso saluto-in­vocazione -: O Clemens, o Pia, o Dulcis Virgo Maria.

Siamo certi, ora, alla luce degli eventi che hanno realizzato il preannunzio profetico, che i suoi passi furono guidati, voluti dal­l'alto: le prime note di un cantico che si eleva tuttora da ben trentacinque anni, sem­pre più alto alla Grotta delle Tre Fontane.

La Sinapi, dunque, volle guidare un grup­po di Figlie di Maria, dalla vicina Parroc­chia della Garbatella, a far visita ai luoghi del martirio di san Paolo.

Dopo aver pregato nella Chiesa abbazia­le, ispirata, si era diretta in solitudine al boschetto di eucalipti, lì accanto, al di là della via Laurentina.

Pregando, arriva lì dinanzi alla grotta: gli uomini han trasformato quel luogo balsami­co, fatto per la quiete e per elevare grato il pensiero al Signore che ci offre le bellez­ze della natura per innalzarci a Lui, in un rifugio moralmente lurido, per il bestiale soddisfacimento dei loro bassi istinti.

Gina prega che la Vergine lo riconsacri per il bene, lo restituisca allo scopo elevato, per cui è stato risanato dal lavoro di quegli uomini di Dio, che nell'abbazia vicina cele­brano le Sue lodi e implorano misericordia e perdono per i poveri peccatori.

Si avvicina alla grotta e all'improvviso in una luce straordinaria le appare la Ver­gine Santa. Ella le fa dirigere lo sguardo sui piccoli resti, gli ossicini di una crea­tura umana.

Seguendo gli occhi sereni e mesti della Mamma celeste; Gina seppellisce quella te­stimonianza di una grave colpa, ponendo sulle misere ossa una medaglietta.

La Vergine le sorride ora dolcemente; e risponde quindi alla di lei preghiera:

- Tornerò in questo luogo. Mi servirò di un uomo che oggi perseguita la Chiesa e vuole uccidere il Papa.

Ora va' in san Pietro, lì troverai la so­rella del Cardinale Pacelli. Porta a lui il mio messaggio.

Da questo luogo stabilirò in Roma il tro­no della mia gloria.

 

La realizzazione

Mentre in Spagna continuava la condot­ta disordinata di Bruno Cornacchiola, sva­nita anche la chiamata divina a Saragozza, la Vergine svelava alla sua giovane cultrice i disegni di Dio su quel persecutore della Chiesa, determinato ad uccidere il Sommo Pontefice.

Abbiamo visto il ritorno di Bruno dalla Spagna e il suo furore protestantico in fa­miglia.

Ma l' ambiente del focolare domestico, con una buona sposa e madre, ottennero qualche effetto.

Invece di aderire al protestantesimo, co­me con insistenza e talora con percosse, Bruno avrebbe voluto, la signora Iolanda insisté tanto che lo indusse ad accettare la sua proposta:

- Facciamo insieme la pia pratica dei primi venerdì del mese, confessandoci e co­municandoci.

- Se alla fine tu avrai gli stessi senti­menti di ora, darò il mio nome alla setta; se invece cambierai idea, non parlarmene più.

Nella sua semplicità, la povera Iolanda faceva la sua proposta, sicura che il Sacro Cuore di Gesù le avrebbe fatto il miracolo di convertire il suo sposo.

Per un po' riemerse in Bruno il ricordo della prima comunione e quasi ripromet­tendosi incosciamente che qualcosa sarebbe avvenuto, accettò la proposta.

- Ebbene, farò queste Comunioní e vo­glio farle bene, con sincerità.

E portò bene a termine la devota pratica. Ma non successe nulla.

« Fallita la prova, io e la moglie demmo il nome alla setta protestante ».

Nella psicologia della povera gente, così ignorante in fatto di religione, c'è qualcosa che sfugge al giudizio dell'esperto.

Bruno ritornò al suo errore di comunista e di protestante avverso alla Chiesa catto­lica, operando da attivo propagandista in politica e particolarmente nel campo reli­gioso.

Bruno afferma che gli Avventisti in Ro­ma erano quindici; fu per loro un animatore tanto abile, che nel '47, al momento della sua mirabile trasformazione, lasciò cento­cinquanta avventisti, tutti indotti da lui a « convertirsi »

Intanto aveva ottenuto una sistemazione sicura, per il sostentamento della sua fami­gliola: superati gli esami di licenza elemen­tare, entrò nell'azienda tranviaria, come fat­torino.

Un accenno alla sua animosità contro la Chiesa, ci è offerto dallo stesso Bruno.

- « Il mio odio per il clero non faceva che crescere e all'occasione lo soddisfacevo con piacere. I preti, li chiamavo cani e uno di loro, anziano e malandato in salute - particolare appreso in seguito - feci in modo di stringerlo tra le ante dell'autobus, fingendo di non aver visto che stava ancora scendendo. Il malcapitato rovinò a terra e si ruppe una gamba.

« Un'altra volta nascosi - facendola sgusciare dietro il mio seggiolino - una borsa di pelle nera di un sacerdote, appena salito e tutto indaffarato a chiedere il biglietto.

« Quando il poveretto cercò la sua borsa, io, fingendo meraviglia, gli dissi che l'aveva sottratta un passeggero sceso proprio allora, e aveva agito con tanta disinvoltura che io avevo creduto fosse sua.

« Quella borsa l'avevo con me il 12 aprile 1947, quando mi recai alle Tre Fon­tane, dove cominciò la mia nuova vita ».

In famiglia, Bruno intanto cercava con insistenza e fanatismo di inculcare ai tre figlioletti Isola, Carlo e Gianfranco gli stes­si suoi sentimenti di odio e disprezzo verso i sacerdoti e le pratiche del culto della Chie­sa Cattolica.

Ad Isola consegnava i biglietti che chie­devano alla di lei maestra l'esenzione dalla lezione di religione.

Ma si era alla conclusione improvvisa ed assolutamente imprevista di simile stato di cose.

« Ero anche ambizioso - continua a narrare il Cornacchiola - : forse per una rivalsa con la vita che avevo condotto, di miseria e di ignoranza; volevo istruirmi nel­l'insegnamento della Bibbia.

« Era morto l'anziano pastore protestante della chiesa avventista di Civitavecchia e a me sarebbe piaciuto succedergli.

« Nell'aprile 1947 - ero allora direttore della Gioventù missionaria del Lazio - i nostri superiori dissero ai capi-gruppo che si profilava un'uscita in pubblico a Roma, per la prima volta: avrei dovuto parlare alla gente in piazza della Croce Rossa.

« Mi veniva così offerta una grossa oc­casione: se avessi fatto breccia con un ser­mone ben preparato, mi si sarebbe aperta una carriera di pastore nel protestantesimo.

« Era una di quelle primavere come ce ne sono spesso a Roma, nelle annate in cui il tempo fa il galantuomo: cielo terso e sole che già preannunciava l'estate.

« Avrei dovuto parlare in pubblico il 13 di aprile; così il 12 decisi di portare ad Ostia la famiglia, per una gita che a me avrebbe consentito di studiare la Bibbia (per trarne gli argomenti favorevoli al mio tema contro la Madonna) in un angolino tranquillo, al­l'aperto, mentre Isola, Carlo e Gianfranco potevano giocare.

« Iolanda non volle unirsi a noi perché non stava bene.

« Misi nella borsa, rubata al sacerdote sull'autobus, la Bibbia (la traduzione del Diodati), un notes e una piccola palla per i giochi dei ragazzi; ci avviammo alla stazio­ne per prendere il trenino per Ostia.

« Feci in tempo per vederlo andar via; eravamo giunti in ritardo.

« Allora, mi venne in mente di cambiare la meta della gita ».

Occorreva, oltretutto, mantenere la pro­messa ai piccoli di una breve festa campe­stre: saprà il padre dove condurli. Conosce­va egli da ragazzo, quando abitava con i suoi a Porta Metronia, il bosco degli eucalipti alle Tre Fontane, né gli era ignota una grot­ticella ricavata nel tufo, che talvolta anzi gli era stata ospitale. Colà, dopo tanti anni, egli si avviava con i mezzi pub­blici, in quel luminoso pomeriggio di pri­mavera, conducendo i suoi tre bambini.

« Lasciando a sinistra l'Abbazia, promisi ai bambini di comprare loro al ritorno la cioc­colata fatta dai Frati, a Roma così rinomata.

« Faceva caldo ed io, su alla collinetta, cercavo un posto per farli giocare e starmene in pace a scrivere appunti sul discorso del giorno dopo, che doveva essere tutto contro la Vergine, la quale, secondo le affermazio­ni della setta, non era la Madre di Dio, non era la Immacolata Concezione, non era sta­ta assunta in Cielo; sarebbe stata soltanto una donna molto pia, che, oltre a Gesù, aveva avuto altri figli.

« Tirai fuori dalla borsa la palla, mi alleg­gerií di un po' di vestiario e così fecero an­che i bambini; mettemmo ai piedi di un albero i panni ch'erano di troppo per il caldo.

« Feci un giro per esplorare la zona: allo­ra, quella zona era frequentata da pastori con i loro greggi al pascolo, da borsaioli e donne di malaffare.

« Andai a guardare dentro la grotta, per valutare i rischi, lasciando in libertà i ragaz­zi. Gianfranco aveva solo quattro anni; Iso­la ne aveva dieci e Carlo otto; là c'erano anche delle vipere e non volevo andare in­contro a brutte sorprese.

« La grotta era cosparsa di tante sozzure: capii subito che era diventato il ricettacolo di squallidi incontri... sporcizia ed erbacce... Proibii pertanto ai ragazzi di mettervi piedi.

« Carlo, Isola e Gianfranco, contenti del pomeriggio in libertà all'aperto, cominciaro­no a giocare ed io, un po' discosto mi im­mersi nella lettura dei versetti da scegliere per scrivere il sermone.

« Ad un certo momento, Carlo ed Isola vengono ad interrompere il mio lavoro: « Papà si è perduta la palla ». Penso che poteva essere andata fuori della conca, dove il terreno scende scosceso fin giù sulla stra­da. Indico dove possono cercarla, ma essi ritornano sfiduciati: « Non ci riesce di ri­trovarla ». Dico allora: «Vado io alla ri­cerca con Carlo ». Isola sale sul ripiano della collina al di sopra della grotta che s'apre in fondo alla radura, ove eravamo noi quattro, mentre a Gianfranco raccoman­do di non muoversi, dandogli per passatem­po un giornaletto di bambini. E' frugato ogni cespuglio, e si va anche un po' lontano. Per assicurarmi che il più piccino non si allontanasse e cadesse in qualche buca, lo chiamavo di quando in quando. Ad un trat­to gli dò la voce e non mi risponde; ripeto, nulla. Che sarà successo? Mi torna subito in mente che Gianfranco era già caduto da otto metri d'altezza e gli avevano dovuto dare dieci punti; però cosa davvero stra­ordinaria - dopo quattro giorni era già

guarito. Lascio di cercare la palla e vado a vedere. Il bambino era a sinistra dell'ingres­so della grotta, in ginocchio e con le mani giunte. Come parlando a qualche cosa che era dinanzi a lui e che io non vedevo, egli ripeteva tutto ridente: « Bella signora, bella signora ». Nessuno in casa gli aveva inse­gnato quella posizione di preghiera, tanto più che i protestanti sogliono pregare in piedi senza giungere le mani. Mi rivolgo a Isola che sta componendo un mazzetto di fiori: « Che vuoi papà? ». « Vieni un po' giù ». Ci avviciniamo a Gianfranco sempre in estasi, avendo io al mio fianco Carlo. « Ma vedete qualche cosa? ». « Niente » ri­spondono, ma nello stesso tempo ecco Iso­la che piega anche lei i ginocchi, giunge le mani ed esclama, con l'occhio attratto in un punto della grotta, « Bella signora ». Cre­do ad uno scherzo dei ragazzi, penso anche che la grotta sia stregata, che si tratti di qualche opera di magia.

Dico allora a Carlo che mi sta vicino: « E tu non t'inginocchi? ». Risponde con un tono di burlesca noncuranza: « Ma va! ». Non aveva terminato la frase, che atterra i ginocchi e a mani giunte segue la visione degli altri fratelli. Mi prende allora un sacro terrore: cerco di scuotere gl'inginocchia­ti, che hanno sempre gli occhi intenti là dove sembrano pietrificati. Li osservo: sono divenuti bianchissimi, quasi trasparenti ed hanno le pupille dilatate. Una preghiera mi sgorga spontanea dal labbro, credendo ad un intervento diabolico: « Signore, salvaci Tu ». Avevo appena formulata l'invocazio­ne, che mi sembra sentir due mani che a parte dietro mi spingono e leggermente mi tolgono dagli occhi come un velario. In quell'istante la grotta scompare dinanzi a me, mi sento leggero leggero, quasi sciolto dalla carne, e avvolto da una luce eterea, in mezzo alla quale vedo la figura di una donna paradisiaca, che descrivere mi è im­possibile.

Solo posso dire che il viso appariva di una dignitosa bellezza e il tipo era di don­na orientale, olivastro. I capelli neri uniti sul capo, sporgenti un poco, quanto lo con­sentiva il manto che dalla testa le scendeva ai piedi lungo i fianchi. Ed era il manto del colore dell'erbe dei prati a primavera. La veste candida, stretta da una fascia rosea, le cui bande giungevano fino ai ginocchi. I piedi nudi poggiavano sopra un blocco di tufo. Potei giudicare l'altezza della « Bella signora » circa un metro e sessantacinque. Il suo aspetto era mestamente benigno.

Il primo impulso fu quello di parlare, di gridare, ma mi sentii paralizzato: la voce mi mori nella gola. Ed anch'io, come i miei figli, uno accanto all'altro, ero genuflesso e con le mani in atto di preghiera. La « Bel­la signora » recava un libricino di color gri­gio nella destra e con la sinistra indicava una veste nera in terra: vicino scorsi una croce frantumata.

Quindi risuonò alle mie orecchie soltan­to la voce soavissima, a nessuno somiglian­te nemmeno approssimativamente:

« Sono colei che sono nella Trinità Di­vina, sono la Vergine della Rivelazione. Tu mi perseguiti: ora basta! Entra nell'Ovile Santo, Corte Celeste in terra. I nove vener­dì del Sacro Cuore, che tu facesti prima di entrare nella via della menzogna, ti hanno salvato ».

S'inizia così il celeste colloquio, di cui una parte riguarda direttamente me e tutti i fedeli ed una parte forma il Messaggio segreto, che è destinato al Papa. La Vergi­ne ha molto insistito che si preghi assai e specialmente si reciti il Rosario quotidiano per la conversione dei peccatori, degli increduli e « per l'unità dei cristiani ». Ella ha promesso grandi favori: « con questa terra di peccato opererò potenti miracoli per la conversione degli increduli ».

A me stesso non ha nascosto giorni di persecuzioni e di prove dolorose, ma mi difenderà la sua materna protezione. Di questo straordinario colloquio non ho per­duto una sillaba per lo stranissimo feno­meno che, non avendolo ancora trascritto fedelmente, esso mi si svolgeva regolarmen­te nel cervello dalla prima parola « Sono » all'ultima « Amore », con un ritmo lento come un discorso impressionato in un di­sco, che si ripeta senza interrompersi. Il fenomeno che mi accompagnò anche duran­te le ore del mio servizio in autobus, cessò di botto allorché fissai per iscritto l'ultima parola della Madonna.

La voce del cielo mi aveva detto: « Per darti una certezza che questa visione è real­tà divina e non visione satanica, come mol­ti ti vorranno far credere, io ti dò questo segno. Dovrai andare per le chiese e per le vie. Per le chiese al primo sacerdote che incontrerai e per le strade ad ogni sacerdo­te che incontrerai, tu dirai « padre devo parlarle ». Quando questo ti dirà: « Ave Maria, figliolo, cosa vuoi? », allora dirai quello che ti viene in bocca. Questo t'in­dicherà un altro sacerdote che ti farà fare l'abiura, con queste frasi: « Quello fa per il caso tuo ».

La Vergine mi esortò ad essere « pru­dente » disse che « la scienza rinnegherà Dio »; quindi mi dettò un messaggio se­greto da consegnare personalmente « alla Santità del Padre », accompagnato però da un altro sacerdote « che tu conoscerai e sentirai legato a te ».

Il colloquio della Madonna durò dalle 16,10 alle 17,30, durante il quale i bam­bini, che vedevano muover le labbra, ma non udivano le parole di Maria, non mo­strarono alcun segno di stanchezza, così erano rapiti in estasi e quasi fuori della vita. Anzi, avendo voluto osservare subito i loro ginocchi, se recassero alcun segno dei sassi e della breccia, di cui era sparso il limitare della grotta, li trovai rosei come se non avessero affatto sostenuto il peso del corpo per sì lungo tempo.

Appena la Vergine ebbe terminato di parlare, tenendo le mani al petto, sorri­dendo, mosse lieve due passi, poi si rivolse verso il fondo della grotta ancora invisibile e lentamente dileguò. Fu in quel momento che Carlo rinvenuto in sé, si levò in piedi e corse dietro la immagine luminosa per afferrarle il manto e si trovò a tu per tu con il sasso della roccia ».

Rimessici un po' dallo sbalordimento, dissi ai miei figli: « Avete veduto? Quella era la Madonna » e subito mi posi a sedere su di un sasso, cominciando a fermare de­gli appunti sopra un taccuino: ma il lavoro completo lo terminai a casa. Avevamo no­tato, io e i bambini, che la Vergine si era rivolta andandosene, in direzione di Roma.

Il salesiano Don G. Tomaselli " così ri­porta le parole della Vergine al Cornacchio­la, apprese dalla narrazione dello stesso con­vertito.

- « Sono colei che sono nella Trinità Divina. Sono la Vergine della Rivelazione. Tu mi perseguiti, ora basta! ».

« Entra nell'Ovile Santo (la Santa Chiesa Cattolica), Corte Celeste in terra.

« Il giuramento di un Dio è e rimane immutabile: i Nove Venerdì del Sacro Cuore, çhe la fedele sposa ti fece fare prima di entrare nella via della menzogna, ti hanno salvato.

« La Madonna poi mi fece una lunga allocuzione, della quale una parte era desti­nata a me personalmente ed a tutti i fedeli ed un'altra parte conteneva un messaggio segreto per il Santo Padre, che rimarrà se­greto finché Dio vorrà.

« La Madonna poi disse:

- Per darti una prova certa che questa visione è una realtà divina, cioè, che non viene dal demonio, come molti ti vorranno far credere, io ti dò questi segni:

« Tu dovrai andare nelle Chiese e per le strade. Il primo Prete che tu incontrerai in Chiesa o per la strada, dovrai avvicinar­lo e rivolgergli questa parola: Padre, io le devo parlare!

Se ti risponderà:

- Ave Maria, figliuolo! Che cosa vuoi? Allora tu gli dirai quello che ti verrà sul­le labbra. Ed egli allora ti indicherà un altro Sacerdote, con queste precise parole:

- Questo fa per il tuo caso.

« Quando narrerai agli altri quello che hai veduto, non ti presteranno fede alcuna, ma tu non lasciarti deprimere né deviare. « La scienza negherà Dio e ne declinerà gli inviti.

« Tu andrai dal Santo Padre, il Supremo Pastore della Cristianità, il Papa, e gli con­segnerai personalmente il Messaggio. Ti indicherò chi ti accompagnerà.

« Bisogna pregare molto per la conver­sione dei peccatori, degli increduli e per l'Unione di tutti i cristiani.

« Le Ave Marie che tu dirai con fede ed amore, sono tante frecce d'oro, che ar­ríveranno al Cuore di Gesù.

« Prometto un favore grande, speciale: con questa terra di peccato (- terra della Grotta -) io opererò grandi miracoli per la conversione degli increduli e dei pecca­tori.

« Il Cornacchiola aggiunge:

- La Vergine si degnò rivelarmi mira­bili verità: la sua vita dal principio della sua esistenza in Dio, sino alla fine del suo compimento sulla terra ed alla sua gloriosa Assunzione in Cielo, soggiungendo:

- Il mio corpo non poteva marcire e non marcì... dal mio figlio e dagli angeli fui portata in cielo...

« Il colloquio celeste si protrasse per un'ora e venti minuti, dalle ore 15,20 alle 16,40 ».

« Dileguata la visione `, io mi 'ritrovai con le mani in testa, tra i capelli, come quando avevo invocato Dio in aiuto: i bam­bini si mossero, rividi il sole. Nella grotta, un profumo che non somigliava a nessun profumo di questa terra. Ero confuso, qua­si terrorizzato. Dissi ai bambini: « Andia­mo a comprare la cioccolata e non dite nien­te a nessuno ».

Arrivato davanti alla chiesa dei frati, sen­tii il bisogno di entrare, e chiesi a Isola: « Diciamo una preghiera ». « Sí, papà » ri­spose lei. Con imbarazzo, ripresi: « Ma qua­le? Io non ne ricordo nemmeno una! ». Iso­la sorrise: « Papà, io l'Avemaria la so e pos­siamo dirla! Vedi, quando tu mi davi i bigliettini da consegnare alla maestra, io mi vergognavo: gliene ho dato uno solo, la prima volta. Dopo, li nascondevo e assiste­vo alle lezioni di catechismo: così, le pre­ghiere le so! ».

In ginocchio, dissi l'Avemaria con Isola. Gianfranco e Carlo. Tornammo a casa; sa­pevo che avrei dovuto scrivere tutto quello che la Vergine mi aveva detto nella grotta; c'era un lungo messaggio per il Papa.

Il dubbio, però, incominciò subito a la­vorarmi dentro: era tutto vero o ero stato vittima di un'allucinazione? Sapevo per cer­to che non sarei andato in piazza a fare quel discorso, l'indomani: il resto era tutto smarrimento.

Arrivati a casa, prima di entrare, i bam­bini dimenticarono le mie raccomandazioni e si misero a gridare ai vicini di casa stu­pefatti che avevano visto con me la « Bella Signora ».

Quando fui davanti a mia moglie, caddi in ginocchio e dissi: « Iolanda, perdona il male che ti ho sempre fatto! » e le raccontai la visione. Mia moglie rispose al colmo del­la meraviglia: « Deve essere accaduto dav­vero un miracolo, perché ti vedo in ginoc­chio davanti a me: ero sempre io ad ingi­nocchiarmi per supplicarti di non picchiar­mi più! Vedi? La Vergine ha mantenuto la promessa di salvarti: non avevamo fatto in­sieme la comunione per nove venerdì? ». Commosso, annuii, e stemmo lì a parlare per tutta la notte dell'accaduto, mentre i bambini, sfiniti dalle emozioni della gior­nata, dormivano profondamente ».

 

Svolta decisiva

Così dal 12 aprile 1947 incominciò per Bruno Cornacchiola la svolta decisiva. Prima però di arrivare alla quiete sovra­na dell'animo, che costituirà quindi e tutto­ra costituisce la sua caratteristica, indice elo­quente dell'avvenuta trasformazione spiritua­le, della realtà soprannaturale della visione celeste, passò più di qualche mese.

Fu quello, che seguì immediatamente il 12 aprile, un periodo di prova e, talvolta, di intima sofferenza, ad espiazione del tur­binoso passato, delle colpe in esso accu­mulate.

I segni dati dalla Vergine a Bruno, per avere sicura coscienza, anzi la irremovibile certezza della realtà della visione, della ve­rità delle comunicazioni ricevute, durante quell'ora e più di celeste gioia, erano stati offerti con questo scopo: mettere alla pro­va la docilità del fortunato prescelto, tem­prarne lo spirito con le umiliazioni e con la sofferenza.

Il primo passo, la prima prova: cer­care il sacerdote giusto che avrebbe dovuto fargli fare l'abiura. La Vergine gli aveva detto che a tale scopo avrebbe dovuto avvicinare i sacerdoti dicendo: « Scusi, padre, vorrei parlarle... ». Il sacerdote che lo avrebbe ascoltato, cre­duto ed aiutato, gli avrebbe risposto così: - « Ave Maria, figliuolo! Cosa vuoi? ».

Bruno racconta: « - Ho tribolato tan­to. Giravo per piazze, strade, chiese, avvi­cinandomi con estremo disagio a quei pre­ti che fino al giorno prima schernivo: e nes­suno mi rispondeva nella maniera indica­tami » -.

Una situazione psicologica davvero tor­mentosa, che talvolta, a momenti, si mani­festava nei modi duri, in maltrattamenti in famiglia.

« Tornavo alla grotta, anche di notte: e pregavo. Sempre. Recitavo il Rosario pian­gendo, supplicando la Vergine di darmi un segno che m'impedisse d'impazzire: tornavo dalla grotta rasserenato.

A questo punto, anche per farci un'idea del capovolgimento interiore e quindi del tormento che ne consegue, si pensi alla ap­parizione di Gesù Risorto, fulgido di gloria, che atterra Saulo di Tarso alle vicinanze di Damasco, dove egli si recava spirante odio e ferocia contro i cristiani, ch'egli aveva spesso perseguitati in Giudea per farli « be­stemmiare » il Cristo.

- « Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Io sono Gesù che tu perseguiti. Ma va in Damasco e ti sarà detto quello che devi fare » -.

Saulo si alzò, ma il bagliore del Cristo Risorto, più fulgido del sole, lo aveva acce­cato: clinicamente questo fenomeno viene definito blefarite.

Devono condurlo per mano a Damasco: dove rimane per tre giorni nella cecità: sen­za mangiare nulla, né bere.

Era lo sconvolgimento interno: dunque, aveva sbagliato tutto; dunque il Crocifisso da lui considerato un obbrobrio per le spe­ranze del suo popolo, era il vero Messia, Dio egli stesso come il Padre Celeste; dun­que tutti i sogni giudaici di dominio sul mondo, di rivalsa sull'impero romano, di superiorità sulle genti erano vani, inganne­voli miraggi. Era tutto il suo mondo che rovinava in frantumi, in polvere dispersa dal vento!

Bisognava ricominciare, predicare il valore assoluto della Croce, guadagnare, - se possibile -, il tempo perduto.

Una rivoluzione nella mente, totale: tutto ciò che aveva ritenuto assurdo fino a quel momento, ora appariva nella piena luce di un disegno di salvezza, che si sareb­be imposto e avrebbe dato la vita, per sem­pre, a quanti lo avrebbero accettato.

Il passaggio da persecutore ad apostolo. Dopo tre giorni, viene a lui il pio sa­cerdote, Anania, per diretto mandato del Signore, lo battezza, cadono le squame dai suoi occhi. Saulo ormai è Paolo, l'Apostolo delle Genti, che finirà a Roma, dando la testimonianza suprema al Cristo Risorto, dinanzi al tribunale di Cesare, subendo il martirio alle Tre Fontane.

« Passarono sedici giorni d'inferno, - continua il Cornacchiola -. Una sera, al termine di un giorno di angoscia e di ricer­che inutili, mia moglie mi chiese: « Perché non vai a cercare nella nostra parrocchia? ». Io non c'ero ancora andato, perché lì mi conoscevano come un impudente man­giapreti. Ci andai, e mi misi in penombra per non farmi riconoscere dal parroco: mi vergognavo molto.

Mi passò davanti un prete in cotta e stola - don Frosi - che stava per distri­buire la comunione. Lo tirai un po' per l'orlo della cotta e gli feci sottovoce la so­lita domanda « Avemaria, figlio mio! Co­sa vuoi? » fu la risposta.

Rimasi come paralizzato dall'emozione: allora, era tutto vero! L'avevo vista dav­vero, la Vergine, in quella grotta delle Tre Fontane: e mi aveva davvero parlato! ».

Al colmo della commozione, esclamai: « Padre, con queste parole lei mi ha rida­to la vita! Allora è vero, allora sono al sicuro! ».

E subito alla mia richiesta, m'indicò un suo confratello - don Gilberto Car­niel - che poco tempo innanzi aveva con­vertito un altro protestante.

A lui, in sacrestia, feci il mio esposto e riferii quanto la Vergine mi aveva ordi­nato di fare.

Il giorno appresso egli venne a casa mia, in via Modica, e lì feci il racconto dettagliato di tutta la visione e mostrai quello che avevo scritto e riguardava me solo, tenendo naturalmente da parte il mes­saggio al Santo Padre.

« Dal 28 aprile al 7 maggio don Gil­berto mi fece un corso d'istruzioni, durante le quali ebbe a meravigliarsi come fossi già preparato e non avessi contrasti di sor­ta. Il 7 maggio, nel pomeriggio, lessi la mia abiura dalla setta, nella mia stessa ca­sa. Il racconto dell'Apparizione con una lettera al Santo Padre fu recato il giorno stesso al S. Uffizio.

Il 18 maggio Gianfranco ricevette il S. Battesimo ed Isola la Cresima e la pri­ma Comunione; anch'io partecipai alla lo­ro festa. Durante la Messa celebrata da don Gilberto, il padre gesuita Rotondi, cap­pellano dei tranvieri cattolici, il quale co­nosceva bene, il male che io avevo fatto tra di essi, ne aveva fatti intervenire un buon numero, parlando delle grazie, di cui la Madonna è così larga e materna dispen­satrice.

Tre altre volte la Vergine si è degnata manifestarsi ai miei poveri occhi e sempre in mezzo a ondate di un delizioso profumo di fiori. Fu il 6 maggio, la vigilia della mia abiura: fu il 23 del mese stesso, quando ebbi compagno il sacerdote don Mario Sfog­gia, quello che aveva detto di « sentirsi at­tratto verso di me » e che poi mi accompa­gnò dal Pontefice. Stavamo recitando il ro­sario, allorché mi astrassi improvvisamente, rivedendo la Madre bellissima che sor­rideva con compiacenza. Appena scomparsa: « Don Mario - esclamai - è rivenuta! ». Notai che egli era tutto emozionato. Mi raccontò che, mentre durava la visione, era stato colto come da una forte corrente elet­trica, che l'aveva immobilizzato, facendogli pulsare il cuore violentemente; al tempo stesso aveva percepito un soavissimo pro­fumo.

L'ultima apparizione, il 30 maggio, eb­be uno speciale contenuto. La Madonna tornò a parlarmi affidandomi questo mes­saggio:

« Va' dalle mie dilette figlie, le maestre Pie Filippini e dì loro che preghino molto per gl'increduli e l'incredulità del rione ».